In Francia sono evidenti i segnali di cedimento del modello di sviluppo: tutti gli indicatori macroeconomici sono pessimi, le previsioni per i prossimi anni non confortano, il governo è in crisi di idee, consenso e affidabilità. I francesi si sono risvegliati dalla convinzione di essere immuni dai mali che affliggono gran parte dell’Europa e sembra che anche il governo inizi (finalmente) a prenderne coscienza. Stupisce che il rating sia ancora AA.
La Francia da tempo è il malato d’Europa: la tendenza verso lo sfaldamento della seconda economia continentale è stata confermata nel primo trimestre dell’anno, i cui risultati ufficializzano l’entrata in recessione.Tutta l’Eurozona in realtà non gira. Dai primi dati diffusi da Eurostat solo tre paesi hanno registrato una blanda crescita: Slovacchia +0,3%, Germania e Belgio +0,1%; l’Austria è a zero. Nel primi tre mesi del 2013 l’area euro ha inanellato il quarto trimestre consecutivo di calo del prodotto interno: -0,2% (a fronte di un -0,1% atteso dagli analisti), dopo il -0,6 dell’ultimo quarto del 2012. In questo contesto non roseo, la dinamica economica che sta assumendo la Francia è l’elemento di maggior preoccupazione.
I NUMERI DI PARIGI
Parigi ha visto la caduta del Pil al -0,2%, contro un consensus degli analisti al -0,1%; il dato relativo all’ultimo trimestre del 2012 è stato invece corretto al rialzo dall’Insee (l’istituto di statistica transalpino), dal -0,3 stimato precedentemente al -0,2%. Su base annua la contrazione si attesta al -0,4%, in linea con le previsioni. Questa è la seconda recessione francese registrata dall’inizio del 2012, ovvero il Pil è sceso in quattro trimestri su cinque.
Ma il problema francese non è riconducibile unicamente alla discesa del Pil: l’andamento di tutte le variabili macro mostra un grave affanno. I consumi calano del -0,1% a causa della riduzione del potere d’acquisto del -0,9% nel 2012 (il più forte degli ultimi trent’anni), le esportazioni flettono del -0,5% (sottolineando i noti e gravi problemi di competitività dell’economia francese, confermati anche dalla stabilità delle importazioni), gli investimenti delle imprese scendono del -0,8%, accentuando una tendenza che ormai appare strutturale.
Il deficit commerciale francese nel 2012 si è attestato ad oltre 67 miliardi (e Parigi non importa energia in quantità significative), il sistema produttivo si sta sfaldando: la produzione industriale a fine 2012 valeva l’86,6% di quella del 2008 (ultimo anno precedente la grande crisi europea), quella tedesca il 94,5%. Tra il gennaio 2009 e il gennaio 2013 sono state chiuse oltre mille fabbriche e persi 120mila posti di lavoro, di cui 67mila nel solo 2012: la recessione del 2009 è stata quindi meno dura dell’attuale sul versante del lavoro. Ciò che più allarma è proprio la dinamica della disoccupazione, che ha raggiunto il 10,6% e tutte le stime indicano che salirà ancora: i disoccupati hanno superato la soglia psicologica dei 3 milioni, il livello più alto da 13 anni. Diversi i casi di ridimensionamento del personale da parte dei colossi francesi che hanno impressionato l’opinione pubblica: dal caso della Peugeot, che si prepara a licenziare 3 mila operai, a quello di Air France, che ha già tagliato 5 mila posti, al piano di tagli annunciato da Carrefour.
Se il passato indica che una grave crisi economica è in corso da anni in Francia, le prospettive non sono ugualmente confortanti. Nel programma di stabilità presentato dall’Eliseo a Bruxelles per il 2013 è stata indicata una crescita attesa dello 0,1%, ma già oggi, dopo solo un mese, tale stima sembra un pio desiderio: il solo effetto trascinamento della recenti contrazioni del Pil equivale ad un -0,3% di crescita già acquisita per il 2013.
Previsione sulle principali variabili macro francesi
DEFICIT/PIL | DEBITO PUBBLICO/PIL | CRESCITA | ||||
2013 | 2014 | 2013 | 2014 | 2013 | 2014 | |
PREVISIONI GOVERNO FRANCESE | 3,7 | 2,9 | 93,6 | 94,3 | 0,1 | 1,2 |
PREVISIONI COMMISSIONE UE | 3,9 | 4,2 | 94 | 96,2 | -0,1 | 1,1 |
Di fronte all’avvitamento economico francese, peraltro, sembrano ottimistiche anche le stime della Commissione Ue, che prevede il calo del Pil del solo -0,1% per fine anno; più credibili sembrano le proiezioni sul deficit nel 2014 al -4,2% (l’Eliseo insiste su un fantasioso -2,9%).
IL RATING FRANCESE
I numeri sopra esposti (anche quelli meno pessimistici forniti dall’Eliseo) fanno comprendere per quale motivo nello scorso novembre Moody’s ha declassato Parigi, privandola della storica tripla A (S&P aveva già proceduto al downgrade).
Da un confronto dei fondamentali francesi con quelli italiani non si comprende per quale motivo oggettivo Parigi abbia un giudizio di affidabilità AA, mentre Roma sia relegata ad un poco lusinghiero BBB+/Baa2 (il giudizio più basso fra i membri del G7). Il debito francese è sicuramente inferiore a quello italiano, ma con una dinamica di crescita più accentuata e sempre più vicino alla soglia del 100% del Pil (era a poco più del 60% nel 2007). Il deficit è di fatto fuori controllo pur senza pagare consistenti interessi sul debito: Parigi registra disavanzi pubblici continuativi dal 1975, a Roma il deficit è forse l’unica variabile sotto ferreo controllo. Crescita e disoccupazione si stanno allineando a quelle italiana, mentre il sistema produttivosoffre di una maggiore perdita di competitività di quello italiano (la bilancia commerciale è nettamente negativa, in Italia no), fermo restando che la produzione industriale in termini assoluti e da anni inferiore a quella italiana; nella valutazione della solidità dell’economia francese va sempre ricordato che il sistema bancario d’oltralpe è molto più esposto sul fronte dei derivati e della finanza strutturata (il sostegno alle banche nazionali è costato molto più a Parigi di quanto accaduto a Roma). L’incapacità di definire una politica fiscale efficace e di implementare riforme strutturali è evidente a Parigi, come a Roma (dove pur qualcosa, sebbene insufficiente, è stato fatto).
L’elevato rating (secondo noi di Economy2050 molto generoso) di cui gode a tutt’oggi Parigi fornisce un grande aiuto a sostenere il traballante equilibrio contabile e sociale francese. Immaginiamo cosa potrebbe succedere se la Francia finisse sotto attacco finanziario/speculativo come accadde all’Italia nel corso del 2011: con un deficit strutturalmente superiore al -3%, i conti pubblici salterebbero e probabilmente sarebbero necessarie manovre ben più severe di quelle sopportate in Italia (e tagli alla spesa pubblica molto più decisi). Roma è entrata nel mirino della speculazione a causa del suo più elevato debito pubblico e dell’instabilità (più corretto sarebbe dire incapacità) politica: di questo passo la Parigi si avvicinerà in non molti anni a Roma sul fronte del debito se non pone mano alla struttura della sua spesa pubblica. E’ bene tenere bene a mente che il debito francese, se fosse oberato anche da un consistente onere per interessi (quindi se aumentassero i tassi), renderebbe insostenibile anche nel breve periodo il disavanzo francese. Per quanto concerne l’incapacità politica, sembra che la Francia, purtroppo, stia assimilando gli “insegnamenti” italiani (anche da prima delle ultime elezioni). A nostro giudizio uno dei fattori di grave debolezza tipicamente francese è la negazione aprioristica della situazione di crisi strutturale del modello di sviluppo fondato sulla centralità dello Stato (peraltro abbastanza efficiente) ormai evidente a tutti tranne che ai francesi: convinzioni di questo tipo, presenti anche in Italia sino a due anni fa, sono particolarmente dannose in quanto ritardano la presa di coscienza della necessità di riforme strutturali, rendendole più dure nel momento in cui verranno (inevitabilmente) adottate.
LA QUESTIONE DELLE RIFORME
L’andamento dell’economia indebolisce la posizione francese in Europa, in particolare dopo che Bruxelles (con il non scontato placet di Berlino) ha concesso due anni in più alla Francia (e alla Spagna) per ridurre il proprio deficit pubblico.
Per inciso, noi di Economy2050 osserviamo che non si comprende per quale motivo Parigi abbia chiesto di sforare il tetto del deficit/Pil anche nel 2014, se ritiene ufficialmente che il suo disavanzo non supererà il livello limite a fine 2013 (Parigi ancor oggi ipotizza un deficit/Pil al -2,9% …). A meno che la motivazione non fosse la concessione a Parigi di poter agire con politiche economiche espansive in deficit spending; ma a quel punto si porrebbe in Europa la questione politica di una sorta di “risarcimento” a tutti quei paesi dell’Eurozona cui non è stato concesso di poter attuare politiche espansive e i cui Pil sono di conseguenza tracollati (Italia compresa).
Da Bruxelles (e da Berlino) vengono richieste sempre più forti affinchè Parigi metta mano con maggior determinazione alle riforme strutturali: un percorso che oltralpe i governi si sono sempre rifiutati di seguire con troppo vigore, ma che viene preteso quale contropartita in cambio dello slittamento di due anni del rientro del deficit entro il 3% del Pil.
La Commissione Ue vuole la riforma pensionistica, una maggiore flessibilità del mercato del lavoro (formalmente appena approvata) e liberalizzazioni sul mercato interno. Bruxelles, inoltre, osserva con forte preoccupazione un dato: nel 2014 il Pil francese sarà al 57,1% rappresentato da spesa pubblica e la Francia sarà il paese europeo a maggior peso statale nell’economia, scalzando la Danimarca. La media del l’Unione è al 50,2%: lo scostamento francese corrisponde a quasi sette punti di Pil, ovvero 140 miliardi. Secondo la Commissione vi sono ampi margini per operare tagli alla spesa pubblica e sembrerebbe questa la vera contropartita in corso di definizione per concedere tempi più dilatati per contenere il deficit pubblico.
Bruxelles e Berlino, vogliono concedere sicuramente più tempo a Parigi, ma a patto che questi anni vengano impiegati per adottare quelle riforme necessarie a restituire competitività al sistema produttivo francese senza provocare eccessive tensioni economiche e sociali. Recessione e maggior tempo disponibile, quindi, devono essere l’occasione per riformare l’economia e non per trastullarsi in attesa che vengano tempi migliori, celando sotto il manto di liquidità fornita dalle banche centrali mondiali (che tutto nasconde sotto i suoi tassi bassi) le evidenti diseconomie strutturali.
Esemplare il caso del sistema pensionistico. Il sistema previdenziale francese ha chiuso il 2012 con un buco di 14 miliardi, che diventeranno 19 nel 2018 e 22-40 (a seconda degli scenari macroeconomici) nel 2030: una riforma previdenziale è urgente per stabilizzare i conti pubblici, ma le divisioni interne al governo e le resistenze sociali impediscono anche il solo parlarne con concretezza. Eppure il tema è ineludibile: la Francia è oggi il paese europeo dove comunque si trascorrono più anni da pensionati, nonostante la timida riforma del precedente governo adottata nel 2010 (senza tale riforma nel 2012 il disavanzo previdenziale si sarebbe attestato intorno ai 30 miliardi); nel 2012, il governo Hollande, appena insediato, ha peraltro parzialmente modificato la riforma previdenziale Sarkozy (aspramente osteggiata in Parlamento), abbassando l’età pensionabile (60 anni, la più bassa d’Europa) e compensando il maggior onere aumentando i contributi a carico delle imprese (35 miliardi di nuovi versamenti imposti durante un periodo di recessione!).
A Bruxelles il presidente francese Francois Hollande ha tenuto a sottolineare che “la Francia non è il malato d’Europa, visto che tutta l’Europa è in recessione. Il problema di fondo è quello dei divari di competitività. Noi abbiamo già avviato alcune riforme in questa direzione e andremo avanti. Non perché ce lo chiede l’Europa, ma perché è nostro interesse”. Infatti nello stesso giorno in cui sono stati resi noti i dati sull’economia francese il Senato transalpino ha definitivamente approvato la riforma del mercato del lavoro che, secondo il governo, dovrebbe aumentare l’occupazione, favorire la mobilità e fermare la recessione. La riforma è impostata su basi di maggiore flessibilità dei contratti su orari e retribuzioni, con la semplificazione per le aziende dell’organizzazione del personale (possibilità di riduzione degli occupati in periodi di crisi e licenziabilità per chi si oppone agli accordi in periodi di crisi) e il disincentivo al lavoro precario; sono stati introdotti anche alcuni nuovi diritti per i dipendenti (estensione dell’assistenza sanitaria complementare, partecipazione dei rappresentanti sindacali nei board delle aziende più grandi). La riforma non appare epocale, per un sistema di tutele sindacali che su alcuni aspetti denota effetti patologici: vedremo se la riforma funzionerà alla prova dei fatti.
IL GOVERNO FRANCESE HA PERSO LA CREDIBILITA’
A Parigi traspare una certa confusione, visto che il ministro dell’Economia ha confermato le stime di crescita del Pil a fine 2013 subito dopo l’uscita dei pessimi dati del primo trimestre, mentre il capo del governo è stato più cauto pronosticando una crescita piatta per fine anno, smentendo implicitamente le stime del piano di stabilità presentato alla Commissione Ue (a questo punto sarà interessante vedere come la Commissione valuterà le previsioni francesi il prossimo 29 maggio). Una confusione non certo attenuata dalle indiscrezioni che danno per imminente un rimpasto di governo per mettere ordine in un dicastero ministero dell’Economia in cui apparentemente regna il caos (sette tra ministri e vice ministri) senza un’autorevole guida che i tempi richiedono.
Inoltre Hollande, visti gli ultimi dati macroeconomici, ha dovuto ammette i problemi economici strutturali dell’economia francese, pur evidenziando che la situazione è meno drammatica di quella del 2008/2009 e che il peggio è passato; tuttavia fino a pochi giorni fa sosteneva pubblicamente che il deficit/Pil francese a fine 2013 sarebbe stato inferiore al -3% e questo atteggiamento non ha giovato alla sua credibilità interna (il governo è ai minimi di consenso). La Francia attraversa il secondo periodo di recessione in un anno e il 2013 probabilmente si chiuderà, per il secondo anno di seguito, con il Pil in discesa: se all’estero non si può parlare di una sorpresa (l’entrata in recessione era data per certa da tempo, si veda il post economy2050 “Anche la Francia entra nel tunnel?”), per i francesi sono dati inattesi.
Insomma, il governo francese con dichiarazioni ottimistiche oltre ogni concretezza, con le misure di politica economica insufficienti e inefficaci adottate sinora, con la confusione ideologica che regna al suo interno, con le promesse (poi smentite dai fatti) di impedire la chiusura di impianti produttivi (inefficienti) delle multinazionali in suolo francese sta perdendo ogni affidabilità in materia economica (e sociale): cittadini, imprese e Ue sono oggi diffidenti. In tutto questo non ha certo giovato la vicenda dei capitali occultati in Svizzera e Singapore dal ministro Jèrome Cahuzac (dimessosi, dopo aver confessato), proprio colui che avrebbe dovuto guidare la guerra senza quartiere all’evasione fiscale e al flusso dei capitali verso i paradisi off-shore: visto che sembra che tutto l’establishment francese (di destra e sinistra) sapesse dei suoi affari, forse gli era stato attribuito il compito di combattere l’evasione per la sua esperienza in materia… Come dicevamo sopra, più d’un segnale porta a sospettare che i politici d’oltralpe abbiano studiato e imparato da quelli italiani. Purtroppo per i francesi.