La fusione Inps-Inpdap ha comportato seri problemi contabili per il nuovo SuperInps, problemi che vanno affrontati e risolti rapidamente. La contabilità dell’Inpdap di fatto ha consentito allo Stato di nascondere debito pubblico per circa 31 miliardi (a fine 2012).
Come abbiamo visto nel post precedente, il buco patrimoniale dell’Inpdap esiste da tempo ed il suo impatto era previsto in vari documenti ufficiali dell’Inps: in passato è stato coperto dai trasferimenti statali, ma oggi che la gestione previdenziale del settore pubblico viene “fusa” con quella del settore privato si rompe un equilibrio e vanno chiariti alcuni aspetti sostanziali. In pratica le gestioni pensionistiche dei privati potrebbero correre il rischio, in qualche misura, di contribuire al ripianamento dei deficit dell’Inpdap (che, come vedremo, è in realtà debito dello Stato). Il tutto grazie a una normativa, come certificato dalla Corte dei Conti, atta a creare confusione contabile finalizzata ad occultare, ad un’analisi sostansiale, debito pubblico. Il deficit contabile Inpdap si è determinato per due ragioni che vediamo di seguito.
LO STATO NON VERSA I CONTRIBUTI
Innanzitutto il meccanismo di trasferimento dei contributi previdenziali si basa su artificio contabile. Formalmente l’Inpdap è debitore dello Stato per gli importi dei versamenti previdenziali (figurano in bilancio come anticipazioni di tesoreria: quindi crediti per lo Stato, debiti per l’Inpdap!): il tutto per non accrescere il debito pubblico. Lo Stato poi, ogni anno, ripiana il debito dell’Inpdap.
Il punto è che se lo Stato non ripiana tutto il debito Inpdap (come nel 2011 e come accadrà anche nel 2012), di fatto non versa tutti i contributi nell’anno di competenza, ma si impegna a farlo in futuro: questo per l’Inpdap implica l’iscrizione di un debito in bilancio, da cui deriva la progressiva riduzione contabile del patrimonio (che infatti è oggi negativo per oltre 10 miliardi).
In sostanza, lo Stato-datore di lavoro deve versare i contributi per i propri dipendenti e lo fa creando debito: ma può scegliere se creare debito pubblico (cosa oggi non opportuna) o debito dentro l’Inpdap (quindi deficit patrimoniale per l’ente).
Pertanto i debiti verso lo Stato dell’Inpdap sono debito pubblico occulto: sommando i debiti pregressi (25,2 miliardi) e in corso (quasi 6) si raggiungono i 31 miliardi di euro. Di fatto lo Stato attribuisce una posta contabile fittizia a circa l’2% di debito pubblico, che oggi non viene contabilizzato nel dato ufficiale. Questa appena descritta è la traduzione in concreto di quanto riportato nel documento del Civ (vedi post Economy2050 “L’Inpdap e il buco da 10 miliardi portato nell’Inps): dal 1996 le amministrazioni dello Stato hanno comunque versato “solo la quota della contribuzione a carico del lavoratore (8,75%) e non la quota a loro carico” pari al 24,2% (come detto trasformata contabilmente in debito, in parte ripianato annualmente).
LO SQUILIBRIO PREVIDENZIALE
Anche le cause strutturali propriamente previdenziali incidono sui numeri Inpdap: negli ultimi sei anni la spesa per pensioni dei dipendenti pubblici è cresciuta di oltre il 30%: da 48 miliardi nel 2006 si è giunti a 62,6 miliardi nel 2012. Nello stesso periodo le entrate sono salite solo del 20% (da 48 miliardi a 57,8 miliardi). Per questo la gestione previdenziale dell’Inpdap risulta oggi negativa (al di là degli aspetti di contabilità pubblica visti sopra).
La causa di tutto è il blocco del turnover, ma non solo. Secondo la Corte dei Conti, infatti, tra il 2001 e la fine del 2010, l’importo medio delle pensioni degli ex-dipendenti statali è cresciuto a un ritmo ben più sostenuto rispetto al tasso di inflazione. Mentre il caro-vita è salito di circa il 20% in un decennio, gli assegni medi percepiti dai pensionati del settore pubblico sono aumentati di circa il 30% grazie a norme troppo generose, indifferenti all’equilibrio prospettico di bilancio fra contributi e prestazioni.
IL DOCUMENTO FINALE SUI CONTI INPS
Nonostante le dichiarazioni del Governo e del presidente dell’Inps, la nota di assestamento al bilancio previsionale approvata dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza (Civ) il quattro ottobre ha confermato in pieno le anticipazioni pubblicate sul Corriere della Sera (rileggi il post “L’Inpdap e il buco da 10 miliardi”): l’incorporazione dell’Inpdap nell’Inps “comporterà, quantomeno nel breve periodo, un problema di sostenibilità dell’intero sistema pensionistico obbligatorio”. La delibera è stata approvata dai membri del Civ in rappresentanza delle associazioni imprenditoriali e sindacali; ha votato contro solo la Uil, ma in virtù di una posizione ancor più preoccupata: “il bilancio di assestamento 2012 rischia di passare alla storia come quello che segna il declino dell’Inps, a meno che non si intervenga legislativamente per coprire l’enorme disavanzo economico-patrimoniale dell’Inpdap” (link http://www.uil.it/NewsSX.asp?ID_News=398&Provenienza=1). Le rappresentanze sociali del mondo del lavoro privato confermano quindi in pieno il buco patrimoniale da 16 miliardi scaricato sui conti Inps, smentendo le dichiarazioni “tranquillizzanti” del Governo e ritenendo addirittura “necessaria l’adozione di interventi con i quali sanare il deficit ed evitare rischi che, con il trasferimento all’Inps delle funzioni degli enti soppressi, possano realizzarsi improprie commistioni ed indebite solidarietà tra sistemi previdenziali oggettivamente diversi e difficilmente conciliabili tra di loro”.
La relazione del Civ (link http://www.inps.it/docallegati/Mig/Doc/Istituto/CIV/Delibere/Civ2012/delibere/DEL_CIV_22_2012.pdf ), in particolare alle pagine 31-34, ha ricostruito le cause del deficit patrimoniale Inpdap: lo Stato, fino al 1996, non ha versato tutti i contributi dovuti, sanando forfettariamente la situazione nel 1996-97. Poi lo Stato ha versato i contributi fino al 2007, ma senza che nessuno controllasse se fossero corretti o meno. Dal 2008 ha cominciato a ricorrere al meccanismo dell’anticipazione di tesoreria, cioè ad accantonare debito dentro l’Inpdap.
La viva preoccupazione per l’impatto sui conti Inps è stata ulteriormente sottolineata dalla raccomandazione di condurre almeno “una incisiva attività di vigilanza diretta ad accertare il corretto versamento dei contributi da parte delle pubbliche amministrazioni e in particolare degli enti locali”. In modo garbato, ma chiaro, il Consiglio ha insinuato il sospetto che alcune amministrazioni periferiche possano aver evaso i loro obblighi contributivi. Questa affermazione deriva dalla circostanza che (sembra) l’Inpdap non fosse dotato di un sistema efficace di riscontro della correttezza dei versamenti ricevuti, dati implicitamente per congrui.
Le indicazioni che emergono dal documento di assestamento sono almeno tre:
- lo Stato deve sanare il disavanzo pregresso, altrimenti si corre il rischio che a colmare i buchi siano chiamate le gestioni private in attivo, ad esempio i parasubordinati (avanzo per 80 miliardi) o il fondo per le prestazioni temporanee (ammortizzatori sociali, assegni familiari, malattia);
- occorre urgentemente un provvedimento legislativo che modifichi l’indebita facoltà statale di non versare i contributi per i lavoratori pubblici, in modo da equiparare lo Stato (correttamente) ai i datori di lavoro privati;
- si sospetta che le amministrazioni pubbliche locali possano aver evaso nel tempo i loro obblighi contributivi e si sollecitano azioni dirette a chiarire (ed eventualmente sanare) tale situazione.
ALCUNE OSSERVAZIONI
A giudizio di Economy2050 non vi è alcun motivo per ritenere che vi possa essere un qualche rischio di blocco delle pensioni per i dipendenti pubblici. Non ne ricorrono i presupposti, né legali, né per carenza di liquidità. Né, del resto, nessuno ha mai prospettato un’ipotesi del genere (tra l’altro non si comprende per quale motivo il ministro Fornero abbia sentito il bisogno di replicare a tale non detto). Insomma le prestazioni previdenziali odierne, pubbliche o private che siano, non sono in discussione.
Il richiamo del Civ ai corretti versamenti delle amministrazioni locali è grave. L’ipotesi, seppur solo ventilata indirettamente, è comunque inserita in un documento ufficiale: può un ente pubblico essere evasore contributivo? In sostanza la ricostruzione complessiva che viene fornita è quella di uno Stato che non è evasore contributivo solo perchè si è fatto una legge che lo ha esonerato dal pagamento e di enti locali in forte odore di versamenti errati (per difetto). Insomma i rappresentanti dei lavoratori privati rinfacciano a tutto il settore pubblico di non versare correttamente i contributi pensionistici.
Due aspetti sono di particolare rilevanza, secondo noi di Economy2050.
Innanzitutto la ventilata ipotesi che il buco Inpdap possa essere colmato (anche solo parzialmente) attingendo a fondi Inps. Non siamo sicuri che tale tentazione non sia stata presente in qualche momento all’interno del Governo: in fin dei conti se il debito Inpdap viene pagato dalle gestioni previdenziali private è lo Stato che si scrolla di dosso un pezzetto del suo debito. Una dichiarazione di Mastrapasqua riportata dall’Ansa il due ottobre ci ha fatto rabbrividire: “la previdenza dei dipendenti pubblici è strutturalmente deficitaria: … non è l’unica gestione in Inps ad essere in questa situazione. Ma il sistema previdenziale vive per sua natura della strutturale solidarietà tra gestioni”. Una dichiarazione quantomeno avventata: quale solidarietà tra gestioni, se è lo Stato scientemente a non aver onorato i suoi obblighi di legge?
E’ palese che i debiti (fittizi) dell’Inpdap verso lo Stato dovranno trovare una soluzione in breve tempo: con la modifica delle attuali norme (in uno stesso ente previdenziale non è possibile avere due soggetti, enti pubblici e privati, che effettuano versamenti secondo modalità così differenti, e vantaggiose per uno solo dei due) e con il ripiano integrale del debito statale verso l’Inpdap (25,2 miliardi pregreddi e quasi 6 per il 2012). Su entrambi i punti il Governo sembra fare orecchie da mercante.
E’ opportuno sottolineare che, se non affrontato immediatamente, il disavanzo contabile potrà generare oggettivamente problemi di solidità patrimoniale al SuperInps. Il Civ ritiene ottimisticamente che la sostenibilità dell’intero sistema pensionistico obbligatorio possa limitarsi al breve periodo, ma questo assunto non è affatto scontato. E, del resto, gli obblighi previdenziali a carico dello Stato non ancora assolti devono essere mantenuti in capo allo Stato e non distribuiti a nessun altro soggetto.
Altra questione sostanziale riguarda il debito pubblico. Dopo il buco dovuto ai derivati di Stato (vedi la serie di post Economy2050 “I derivati sul debito pubblico italiano”), ecco che esce fuori un altro artificio contabile che pare aver occultato nelle pieghe del bilancio pubblico ben il 2% di debito/Pil. Tralasciamo le questioni relative alla responsabilità politica di chi ha messo in campo un tale meccanismo di contabilità creativa. Fatto sta che il debito reale italiano è più alto di circa 30 miliardi di euro rispetto ai dati ufficiali.
A nostro giudizio sarebbe opportuno che il debito previdenziale dello Stato divenisse a tutti gli effetti debito pubblico: lo Stato deve versare d’ora in poi quanto dovuto in applicazione delle leggi che regolano i versamenti contributivi dei privati, sanando entro pochi mesi il pregresso. L’incremento “formale” del debito pubblico sarebbe doloroso per le statistiche ufficiali, ma sarebbe solo una partita contabile (il debito dello Stato reale rimarrebbe invariato): in cambio verrebbe messa in sicurezza la gestione delle pensioni di tutti gli italiani e verrebbe ripristinato quel patrimonio che fornisce la garanzia delle prestazioni pensionistiche future per tutti noi.