L’Italia sta migliorando oggettivamente i suoi conti con l’estero, come dimostra l’avanzo della bilancia dei pagamenti e, soprattutto, il surplus commerciale. Ma il nuovo equilibrio nasconde segnali molto preoccupanti di declino economico, ai quali va posto rimedio in tempi rapidi. Segue il post “Il funzionamento della bilancia dei pagamenti: l’influenza sulle recessioni in Italia”Gli ultimi dati sull’andamento della bilancia dei pagamenti italiana sono stati pubblicati dalla Banca d’Italia in luglio, con riferimento al mese di maggio. I numeri mostrano evidenti segnali di miglioramento dei saldi con l’estero, come ormai accade da diversi mesi.
La bilancia dei pagamenti in Italia (valori in milioni di euro)
LE PARTITE CORRENTI: BILANCIA COMMERCIALE IN AVANZO
Il saldo delle partite correnti degli ultimi dodici mesi è migliorato, segnando un avanzo di 3,4 miliardi (un anno prima il disavanzo era a 32 miliardi), merito soprattutto della bilancia commerciale: in dodici mesi l’avanzo commerciale ha raggiunto i 29 miliardi. Peraltro anche i saldi con l’estero relativi ai servizi e ai trasferimenti sono migliorati (quello dei servizi è oggi in avanzo), mentre si è ampliata di quasi 5 miliardi la fuoriuscita di valuta relativa ai redditi prodotti in Italia.
Il grafico consente di cogliere come l’aggiustamento in atto metta fine alla situazione di squilibrio che dura almeno dal 2008. Val la pena di ricordare che paesi (apparentemente) più in salute dell’Italia, come Francia e Gran Bretagna, continuano a registrare deficit commerciali rilevanti.
IL CONTO FINANZIARIO: INVESTIMENTI DIRETTI E DI PORTAFOGLIO
La dinamica degli investimenti diretti dimostra che l’Italia continua a non attrarre capitali con una funzione di finanziamento di lungo termine dell’economia reale (ma questa non è una novità, come si vede dal grafico sotto). In un anno il saldo complessivo degli investimenti diretti ha registrato deflussi netti per 3,3 miliardi.
Il saldo netto degli investimenti di portafoglio evidenzia un risultato fortemente positivo: su base annua il saldo complessivo degli investimenti finanziari archivia afflussi netti per 79,8 miliardi, con una spettacolare ripresa rispetto all’andamento del 2011/2012 (quando vi fu una imponente fuoriuscita dai bond pubblici a causa della crisi di fiducia sulla tenuta dell’Italia). I dati di maggio sono in controtendenza sul trend: i residenti italiani hanno effettuato acquisti netti di azioni e fondi comuni esteri per 7,7 miliardi e di bond per 1,4 miliardi, mentre i non residenti hanno acquistato azioni italiane per 2,8 miliardi e disinvestito obbligazioni per 3,2 miliardi.
LA POSIZIONE NETTA DELL’ITALIA SULL’ESTERO
Pur se formalmente non fa parte del prospetto ufficiale della bilancia dei pagamenti, la Banca d’Italia pubblica anche la posizione netta dell’Italia sull’estero, un prospetto che riporta le consistenze delle attività e passività finanziarie verso il resto del mondo ad un dato momento: una integrazione ai dati sui flussi monetari utile per analizzare e comprendere la posizione debitoria/creditoria italiana verso l’estero.
Alla fine del primo trimestre 2013 la posizione patrimoniale italiana sull’estero era passiva per 371 miliardi (il 23,8% del Pil, in miglioramento dal 24,8% di fine dicembre 2012); la riduzione della posizione debitoria netta verso l’estero nei primi tre mesi del 2013 è maturata in gran parte grazie al deprezzamento dei titoli italiani (azionari e non) detenuti dagli investitori esteri. A fine marzo gli investimenti diretti italiani all’estero erano saliti di oltre 12,5 miliardi (a 425,822), gli investimenti finanziari erano decresciuti di oltre 15 miliardi (a 795,583). Gli investimenti esteri in attività reali in Italia erano arrivati a 273,379 miliardi, in aumento di circa 7 miliardi, mentre gli investimenti finanziari era balzati di quasi 63 miliardi a 1.152,877.
La posizione patrimoniale italiana sull’estero evidenzia come i residenti investano in attività produttive stabili all’estero molto più di quanto gli stranieri facciano in Italia, mentre nel settore finanziario gli italiani detengono attivi di portafoglio per quasi 800 miliardi oltreconfine; in compenso dall’estero affluiscono capitali di pronto smobilizzo per oltre 1,100 miliardi.
L’ANALISI DELL’AVANZO COMMERCIALE
E’ interessante approfondire il miglioramento dei saldi verificatosi nelle varie componenti della bilancia dei pagamenti, al fine di comprenderne le cause e le conseguenze economiche.
Il saldo del conto delle partite correnti è tornato positivo, nel mese di maggio e nell’ultimo anno. Al suo interno anche la misura del saldo commerciale è in avanzo: per le merci di ben 29 miliardi in un anno (un anno fa il saldo era negativo: le importazioni superavano le esportazioni per 2,4 miliardi), per i servizi di quasi 300 milioni (dai -4 miliardi circa del maggio 2012).
Il merito di tali numeri va attribuito in gran parte al crollo delle importazioni: nel periodo maggio 2011–maggio 2012 l’Italia ha importato merci per circa di 385 miliardi, nell’anno successivo per circa 361, per cui l’import si è contratto di 24-25 miliardi. Sul fronte delle esportazioni, dal maggio 2011 al maggio 2012 sono stati esportati beni per quasi 383 miliardi, nei dodici mesi successivi per circa 390 miliardi: l’export è salito di 7 miliardi. L’Italia migliora i conti commerciali, ma contrae la sua economia in modo evidente: non è l’export che tira, ma sono le importazioni che crollano. La ristrutturazione dell’economia interna ha sicuramente ottenuto una riduzione dei consumi interni (e il taglio drastico della richiesta di beni provenienti dall’estero), ma non sembrano vedersi segnali di un recupero di produttività: non rilevate dalla bilancia dei pagamenti, infatti, calano anche le vendite sul mercato interno in misura superiore all’incremento delle esportazioni. In sostanza il Pil scende.
L’ANALISI DEI FLUSSI DI CAPITALI (MOVIMENTI FINANZIARI)
I flussi delle attività finanziarie (conto finanziario della bilancia dei pagamenti) segnalano risultati decisamente positivi negli ultimi dodici mesi.
Interessante il dato sugli investimenti diretti, il saldo fra quanto i residenti esteri investono stabilmente in Italia in attività produttive reali e quanto i residenti italiani investono oltreconfine. Tra maggio 2011 e maggio 2012 gli italiani hanno investito circa 31 miliardi all’estero, gli stranieri circa 21,5 miliardi in Italia, con un deflusso netto di capitali di circa 9,5 miliardi. Dopo un anno i movimenti si sono più che dimezzati: in Italia sono giunti circa 10 miliardi e ne sono fuoriusciti oltre 13. Il saldo netto di capitali produttivi in uscita si è quindi ridotta a soli 3,3 miliardi circa: situazione molto migliore degli anni precedenti (quando gli italiani preferivano investire maggiormente in attività produttive all’estero) e sicuramente influenzata dalla recessione, ma la dinamica dei flussi indica che l’Italia non riesce proprio ad attirare investimenti a lungo termine dall’estero, con una chiara ricaduta anche sull’occupazione. La discesa dei volumi investiti, sia in entrata che in uscita, suggerisce che l’Italia sta diventando un’economia più chiusa dal punto di vista produttivo, non proprio una buona notizia.
Il conto dei movimenti finanziari comprende anche gli investimenti di portafoglio. Gli impieghi finanziari (a breve termine e senza riflessi sull’economia reale, tipicamente in bond) provenienti dall’estero si stanno riprendendo alla grande: quasi 80 miliardi di afflussi netti in dodici mesi (in sostanza il debito sovrano dell’Italia detenuto all’estero è aumentato di una cifra simile), a fronte di deflussi per oltre 135 miliardi registrati nell’anno precedente, quando gli investitori finanziari stranieri stavano abbandonando la nave italiana che sembrava in procinto di affondare (e i loro crediti vennero sostituiti da posizioni creditorie interne, tipicamente bancarie sul debito pubblico grazie alla liquidità della Bce). I flussi di portafoglio si sono invertiti in un anno per oltre 200 miliardi: quindi oggi l’Italia paga molti più interessi all’estero. Il seguente meccanismo deve essere ben chiaro: poiché lo Stato paga le cedole sul debito pubblico finanziandosi con la raccolta fiscale, maggiore è il debito pubblico detenuto all’estero e maggiore è il reddito prodotto in Italia che evapora oltreconfine senza alcuna ricaduta sull’economia reale interna. E’ peraltro probabile che con la stabilizzazione istituzionale ed economica dell’Eurozona in corso tale dinamica possa notevolmente incrementarsi, alla luce degli alti interessi pagati dal Tesoro rispetto agli altri Stati euro.
MOLTE OMBRE
Il giudizio di sintesi sulla dinamica assunta nei conti dell’Italia con l’estero è sicuramente positivo: migliorano oggettivamente i saldi, la bilancia commerciale in particolare è tornata ampiamente positiva.
Ma dietro i numeri si nasconde la crisi involutiva italiana: una cosa è migliorare i flussi con l’estero con un’economia in crescita (aggregato di importazioni ed esportazioni crescente), altra cosa è farlo con l’export che scende (com’era sino a pochi mesi fa) o sale in modo marginale (com’è oggi), con gli investimenti esteri a livelli ridicoli, con quote di reddito sempre maggiori che escono dall’economia nazionale.
Il fatto che il Pil italiano si contragga anche in presenza di un incremento delle esportazioni non è banale: poiché il calo dell’import dovrebbe contenere discesa del Pil, l’ostinata discesa del prodotto interno è un sintomo di impoverimento e deindustrializzazionedell’Italia odierna. E’ chiaro che la riduzione delle importazioni non dipende dalla maggiore competitività ritrovata da parte del sistema produttivo nazionale, ma dalla perdita di lavoro e dalla riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. Come visto nel post “Il funzionamento della bilancia dei pagamenti: influenza sulle recessioni in Italia”, quello in atto in Italia è il meccanismo classico di aggiustamento dello squilibrio dei conti con l’estero imposto da Fmi/Ue. Una via probabilmente necessaria, ma sicuramente non sufficiente al rilancio dell’economia italiana (infatti il Fmi di solito pretende anche riforme economiche strutturali vere): l’aggiustamento dei conti con l’estero ottenuto grazie all’impoverimento interno non implica automaticamente un recupero durevole dell’equilibrio dei conti valutari, proprio perchè la riduzione della domanda interna sostituisce (ma solo temporaneamente) gli effetti dell’indispensabile recupero di produttività del sistema manifatturiero nazionale.
L’aspetto della competitività è quindi cruciale per l’equilibrio prospettico della bilancia commerciale (e di tutta la bilancia dei pagamenti): l’Italia oggi non è in grado di reggere meglio la competizione straniera, vista la grave deindustrializzazione in atto (post “Il declino industriale dell’Italia (secondo Bankitalia)”) confermata anche dal crollo verticale delle importazioni di beni strumentali e di beni intermedi. Il sistema industriale oggi non è più forte, è solo più piccolo, quindi con minori potenzialità di trainare la ripresa dell’economia nazionale.
In sintesi, è chiaro che i miglioramenti italiani nei conti con l’estero non sono stati generati da un recupero di produzione del sistema manifatturiero nazionale (nonostante il costo del fattore produttivo lavoro sia molto sceso negli ultimi anni), ma dal crollo della domanda e degli investimenti produttivi e a fronte di afflussi finanziari che comportano il pagamento di interessi elevati da parte dello Stato (concessi nel tentativo di attirare capitali finanziari per far quadrare la bilancia dei pagamenti). Pertanto si può affermare che nell’ultimo anno il saldo dei conti commerciali con l’estero è migliorato non grazie alla produttività ma all’austerità, l’attrattività italiana per gli investimenti reali stranieri è ancor più diminuita, la finanza è tornata a giocare un ruolo crucialenell’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Una situazione migliorata rispetto agli anni scorsi, ma evidentemente non sostenibile nel medio/lungo termine, specie per le implicazioni in termini di freno alla crescita del Pil e di sostenibilità del debito pubblico (in rapporto al Pil).
GLI INTERVENTI CHE LA BILANCIA DEI PAGAMENTI SUGGERISCE
Nel medio termine è quindi essenziale per l’Italia articolare una serie di interventi di consolidamento strutturale dei conti con l’estero, a partire dall’indifferibile depontenziamento del ruolo assunto oggi dai capitali finanziari stranieri, che rappresentano gli unici flussi in grado di modificare i saldi rapidamente e liberamente (e quindi di creare repentini e gravissimi scompensi valutari). In particolare bisognerebbe adottare misure finalizzate a ridurre drasticamente la quota del debito pubblico in mano a detentori esteri (per esempio limitandone sensibilmente, in un arco di tempo pluriennale, la componente quotata sui mercati); in tal modo scenderebbero anche gli interessi corrisposti dal Tesoro all’estero.
In termini di bilancia commerciale, poi, andrebbe avviata una franca riflessione sull’utilizzo delle risorse naturali nazionali e sulle tutele ecologiche ad esse necessariamente connesse. Un paese povero di materie prime non può rinunciare a quelle poche che riesce a ricavare dal suo sottosuolo: significa destinare ulteriore valore aggiunto all’estero. Il discorso è particolarmente importante per le materie prime energetiche, visto che il costo dell’energia (in Italia altissimo) è uno dei fattori di successo competitivo di un sistema economico nazionale.
Dovrebbero essere poi attuate rapidamente politiche di rilancio della produzione non basate sulla contrazione della domanda interna, ma su incentivi all’aumento della produttività: le esportazioni potranno salire in modo sostenibile (e le importazioni non scendere troppo) solo incrementando la competitività del sistema manifatturiero.
A livello di competitività di sistema-paese, va incrementata l’attrattività dell’Italia per gli investitori esteri in attività produttive. Un problema molto complesso, perchè le inefficienze tipiche del sistema-Italia oggi scoraggiano qualsiasi impresa: giustizia, corruzione e malavita organizzata costituiscono disincentivi agli investimenti da rimuovere una volta per tutte.
Tutti gli interventi descritti hanno un fattore comune: è necessario ridurre sensibilmente il livello di tassazione e il perimetro della spesa pubblica. La sostanza è che, in un mondo sempre più competitivo, si confrontano oggi i sistemi economici nazionali, non le singole imprese: un contesto totalmente differente da quello in essere 10/15 anni fa, ma a cui l’Italia sta dimostrando di non essere ancora riuscita ad adattarsi.
Nonostante molti italiani siano convinti che le riforme economiche siano state fatte e che proprio a causa delle riforme si stia soffrendo la crisi più dura del secondo dopoguerra, i numeri indicano che non è questo ciò che sta accadendo: la crisi odierna è ancora il prezzo che l’Italia paga per l’incapacità di rinnovamento (economico e sociale) evidente da quindici, forse venti anni a questa parte. L’Italia sta pagando l’inedia della sua classe dirigente. Le riforme vere, quelle che possono salvare il paese, non sono ancora state fatte, ma solo abbozzate in alcuni aspetti iniziali.