In Francia, da inizio anno, sono stati formalizzati tre salvataggi bancari, nonostante l’impegno a non soccorrere la banche in crisi dichiarato dal governo solo pochi mesi prima.
Il settore finanziario in Francia mostra evidenti segnali di difficoltà: dall’inizio dell’anno lo Stato è già dovuto intervenire tre volte. Dopo l’implosione di Dexia (apparentemente un buco senza fondo, giunta quest’anno al terzo salvataggio) e della compagnia di assicurazioni Groupama (post “La crisi affonda Groupama: un ulteriore livello del contagio?”), l’Eliseo ha dovuto salvare un piccolo istituto specializzato nel credito immobiliare. Senza dimenticare la crisi della divisione finanziaria del gruppo automobilistico Psa.
Per ora le grandi banche francesi sembrano non necessitare dell’intervento pubblico. Non va tuttavia dimenticato che comunque un supporto finanziario consistente Parigi l’ha già fornito (post “Salvataggi bancari: finora oltre 5.000 miliardi dai contribuenti”), che il sistema bancario francese ha una forte esposizione in derivati (post “Nelle maggiori banche mondiali aumenta l’esposizione in derivati”) ed opera sostanzialmente in Europa (in recessione) e in Francia (in fortissima crisi economica). Secondo recenti stime dell’Ocse, peraltro, il sistema creditizio francese è fra quelli che necessitano di maggiore ripatrimonializzazione in Europa. Insomma, il futuro per le banche d’oltralpe sembra indicare tempesta.
CREDIT IMMOBILIER DE FRANCE
Nel settembre scorso il governo francese era dovuto accorrere al capezzale del Credit Immobilier de France (Cif), un piccolo ma plurisecolare istituto di credito con 300 filiali, 2.500 dipendenti e oltre 30 miliardi di mutui erogati ad enti e privati. La specializzazione dell’istituto era (è) il finanziamento dei mutui immobiliari legati all’edilizia popolare (di solito a clientela bancariamente più fragile, quindi più rischiosa). La banca si stava dirigendo rapidamente verso una crisi di liquidità a causa del declassamento ricevuto da Moody’s e a fronte della stagnazione del mercato immobiliare francese: l’impossibilità di ricorrere al mercato per finanziare le esigenze di cassa, per un istituto che non ha mai effettuato raccolta diretta dal pubblico, aveva rapidamente aperto le porte allo spetto del default. Il governo transalpino, quindi, aveva concesso una prima tranche di aiuti e aveva preteso la nomina di un nuovo capoazienda, riservandosi pesanti ingerenze nella gestione aziendale. Di fatto se non una nazionalizzazione, un commissariamento pesante.
La pratica, dopo l’approvazione parlamentare, è finita sui tavoli di Bruxelles, che ha autorizzato il sussidio di Stato. In febbraio la Commissione Ue ha avallato (temporaneamente) un intervento complessivo di per ben 18 miliardi di euro sotto forma di garanzie pubbliche. Il salvataggio è stato accettato da Bruxelles per evitare un effetto domino sul sistema bancario francese: proprio tale motivazione ha consentito di autorizzare, seppure solo per sei mesi, l’intervento pubblico. Il via libera comunitario consente di guadagnare tempo al fine di mettere a punto di un piano di ristrutturazione o di risoluzione ordinata, che Parigi si è impegnata a presentare entro sei mesi. La Commissione, come di norma, ha rinviato la decisione definitiva in attesa di valutare il piano di ristrutturazione. A fronte del soccorso, Cif ha dovuto accettare una serie di impegni: non potrà effettuare acquisizioni, o distribuire dividendi, né aumentare il suo giro d’affari; dovrà inoltre applicare condizioni più rigorose in caso di concessione di nuovi prestiti.
In Francia il destino della banca è dato per scontato: secondo indiscrezioni di stampa nessun istituto nazionale sarebbe interessato all’acquisizione, pertanto la via obbligata per l’Eliseo dovrebbe essere la nazionalizzazione. Da notare che oltralpe il mercato immobiliare è debole, ma non è (ancora) esplosa alcuna bolla: il caso del Credit Immobilier fa suonare un preoccupante campanello d’allarme, in particolare per quanto riguarda le evidenti difficoltà della componente meno ricca della popolazione a far fronte agli impegni assunti per l’acquisto della casa. Anche le dimensioni dell’intervento pubblico rispetto agli attivi detenuti non tranquillizzano: lo Stato ha dovuto fornire garanzie ben oltre il 50% del totale dei prestiti.
BANQUE PSA
Nell’ottobre scorso Parigi aveva dovuto fornire garanzie pubbliche anche alla banca aziendale del gruppo automobilistico Psa (Peugeot-Citroen): altri 7 miliardi di euro. Anche in questo caso la banca non riusciva più a finanziarsi sul mercato in quantità sufficiente. Il pacchetto di salvataggio per Banque Psa Finance aveva incluso anche 11,5 miliardi in facilitazioni di cassa da altre banche francesi.
La Commissione Ue, in febbraio, ha concesso il via libera (sempre temporaneo) anche per questo intervento al fine di assicurare l’accesso al mercato di Banque Psa e di evitare ogni effetto contagio al sistema bancario francese. Entro sei mesi dovrà essere presentato il piano di ristrutturazione: ma, poichè dell’aiuto di Stato beneficerà l’intera Psa (la commissione ha rilevato che la banca riveste un ruolo determinante nell’attività industriale del gruppo), il piano di ristrutturazione dovrà riguardare il gruppo automobilistico nel suo insieme e solo su tale documento potrà essere presa la decisione finale sull’aiuto accordato. Tra le condizioni che Psa ha dovuto accettare vi è anche l’inserimento in consiglio di amministrazione, come membro indipendente, di un commissario straordinario agli investimenti in rappresentanza del governo francese. Parigi, quindi, ha posto sotto tutela l’intero gruppo industriale e non solo la sua banca.
Ad oggi l’intervento pubblico è stato ridimensionato rispetto alle cifre iniziali: lo Stato francese garantirà l’emissione di obbligazioni da parte della banca per 1,2 miliardi di euro. Alla Commissione Ue è stato notificato solo tale importo, fermo restando che le garanzie per i restanti 5,8 miliardi sono sempre attivabili in caso di necessità.
Il salvataggio, nel caso di Banque Psa, è formalmente della banca, ma sostanzialmente dell’intera casa automobilistica: l’istituto è controllato al 100% dal gruppo Psa e assicura il finanziamento delle vendite di auto e degli stock di auto e pezzi di ricambio delle reti di distribuzione. In sostanza finanzia solo le attività infragruppo. I numeri parlano chiaro: nel 2012 le vendite sono tornate al livello 2001 (poco meno di 3 milioni di vetture), con flessioni del 19,6% per il marchio Peugeot e dell’11,9% per Citroen (-15% complessivo contro una contrazione media europea del -8,6%). L’azienda ha già avviato un piano di ristrutturazione, con l’annuncio della chiusura dello stabilimento di Aulnay (8.000 licenziamenti), ma le perdite nette nel 2012 ammontano a 5 miliardi (livello mai raggiunto nella lunga storia della prima casa francese, numero due in Europa), di cui ben 1,09 miliardi di perdite operative. Il gruppo brucia 200 milioni di liquidità al mese. Dopo l’annuncio del peggiore risultato economico della sua storia, alcuni esponenti del governo d’oltralpe non hanno escluso che lo Stato possa entrare nella proprietà del gruppo Psa. La trattativa con Bruxelles per il salvataggio di Peugeot-Citroen si annuncia molto complessa: la Commissione potrebbe anche chiedere a Psa di incrementare il taglio di stabilimenti europei (oltre a quello già messo in cantiere), visto che la debolezza strategica del gruppo automobilistico è la scarsa presenza extra-europea.
DEXIA
Il 2013 si è aperto con il nuovo di salvataggio di Dexia. Il caso dell’istituto franco-belga-lussemburghese si sta dimostrando un vero e proprio bagno di sangue per le finanze dei tre paesi coinvolti nella nazionalizzazione (per comprendere cosa sia accaduto si rinvia al post “Dexia: il pozzo senza fondo che fa vacillare Belgio e Francia. Due salvataggi e un buco non quantificabile”). Parigi ha sinora fornito a Dexia garanzie per ben 39 miliardi di euro (sugli 85 miliardi complessivi di garanzie pubbliche ricevute dall’istituto). All’inizio di quest’anno è stata realizzata la terza manovra di salvataggio, decisa in novembre (dopo asprissime polemiche fra Belgio e Francia sulla ripartizione dei costi connessi) e autorizzata a fine anno dalla Commissione Ue: un aumento di capitale da 5,5 miliardi, al 47% (2,6 miliardi) sostenuto da Parigi, che oggi detiene il 50,02% del capitale della banca (il Belgio è al 44,4%).
Il caso Dexia è di dimensioni ben più gravi rispetto a Cif e Banque Psa, di rilievo assoluto in tutta l’Eurozona.Nel 2012 la banca ha utilizzato garanzie pubbliche per circa 72 miliardi per approvvigionarsi di liquidità, utilizzo che, nell’ambito del nuovo piano di salvataggio, dovrà scende gradualmente a 33 miliardi: il piano, infatti, abbraccia un arco temporale che arriva sino al 2020, epoca in cui si ritiene che possa essere completato il complesso piano di dismissioni di asset senza svendere gli attivi. Solo allora si ritiene (o si spera) che l’istituto possa tornare alla normale operatività. Peraltro le cessioni in buona parte vedono come acquirenti banche o entità finanziarie dirette o comunque influenzate dallo Stato francese.
Intanto lo scorso anno la banca ha macinato perdite per 2,9 miliardi; fino ad oggi le ricapitalizzazioni di Dexia hanno causato un esborso monetario effettivo (quindi senza tener conto delle garanzie) di 11,9 miliardi di euro ripartiti fra Belgio, Francia e Lussemburgo. I 2,9 miliardi a carico del Belgio dell’ultima ricapitalizzazione (imputati all’esercizio 2012) hanno comportato un incremento del deficit pubblico dello 0,8% del Pil, portandolo a -3,9%.
LA CRISI DIVAMPA, L’ELISEO SI SMENTISCE
Il totale delle garanzie fornite dall’Eliseo alle tre banche è di circa 65 miliardi, oltre alle risorse direttamente impegnate nella ricapitalizzazione di Dexia e agli eventuali ulteriori interventi per salvare il gruppo industriale Psa. I tempi previsti per il ritorno all’utile di Dexia, peraltro, fanno ipotizzare che l’operazione comporterà probabilmente altre ingenti perdite per il Tesoro francese, mentre la probabile nazionalizzazione del Credit Immobilier, secondo noi di Economy2050, potrebbe nascondere nuove minusvalenze (visto che l’istituto è esposto su fasce deboli della popolazione in un periodo di recessione ed è garantito da ipoteche su immobili di edilizia popolare). L’impressione è che la crisi francese sia tanto finanziaria quanto industriale; un campanello d’allarme è suonato anche sul settore immobiliare, che potrebbe essere all’inizio di un’evoluzione pericolosa.
I salvataggi di Cif, Banque Psa e Dexia vanno messi in relazione con la nazionalizzazione della quarta banca olandese (post “L’Olanda nazionalizza la banca Sns Reaal, ma introduce un principio pericoloso”), con il secondo salvataggio del Monte dei Paschi in Italia e con il salvataggio di Cipro (la cui crisi deriva dal sistema bancario, post “Il salvataggio di Cipro e la patrimoniale sui depositi bancari”). Sebbene siano tutte operazioni emerse nel corso del 2012 e giunte a maturazione quest’anno, è evidente che la crisi finanziaria nell’Eurozona non è ancora terminata.
Ricordiamo che il Presidente francese Francois Hollande in campagna elettorale aveva sostenuto il suo fermo proposito di non impiegare mai soldi pubblici per salvare banche: le sue azioni concrete lo hanno smentito in pochi mesi. L’Eliseo minimizza sull’accaduto, ma è evidente la forte difficoltà in cui si dibatte sul fronte bancario: come vedremo in un prossimo post, anche la tanto annunciata riforma bancaria francese è stata letta come troppo morbida nei confronti del sistema creditizio d’oltralpe.